Stiamo perdendo la nostra umanità (per colpa dell'IA)?
Il lento ma inesorabile declino delle materie umanistiche.
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A presto,
Antonio
Gli sviluppatori di Machine Learning o gli ingegneri biomedici dovrebbero studiare le opere di Picasso o Canova?
A quanto pare, no.
D’altronde la strada è segnata: nei prossimi dieci anni gli studenti di Computer Science supereranno in numero tutti gli studenti di materie umanistiche. Una risposta alla nostra società sempre più digitalizzata e alle abbondanti opportunità di carriera nel settore tecnologico.
Basti pensare che il 18% degli studenti della Stanford University si è laureato in informatica, più del doppio rispetto alla decade precedente. Nello stesso periodo, al MIT, la percentuale è passata dal 23% al 42%.
Negli Stati Uniti è evidente da anni quanto le discipline umanistiche siano in crisi: esemplari le cifre condivise dal ricercatore Benjamin Schmidt sul The Atlantic qualche anno fa o su Twitter, più recentemente.
Una spiegazione figlia delle crisi economiche, almeno in parte: gli studenti sono fuggiti dalle discipline umanistiche dopo gli ultimi crolli finanziari perché timorati dallo scombussolato mercato del lavoro. Un punto condiviso da molti altri paesi: studiare una disciplina STEM apre molte più opportunità lavorative ed è ambito ovunque. Tranne che in Italia (per non parlare poi delle disparità di genere).
La domanda che si fanno tutti però, è: un calo dell'educazione umanistica creerà una carenza di tutte quelle competenze che l'IA non sarà mai in grado di replicare?
Ian Bogost sul The Atlantic dice che:
Nessuno dei rettori con cui ho parlato aspira a creare, ad esempio, un dipartimento artistico all'interno della propria facoltà di informatica, o uno di politica, sociologia o cinema.
E questa è una conclusione che non condivido. Anche perché aggiungere studi umanistici all'informatica e all'ingegneria può fornire una rinnovata prospettiva etica ed elevare la comprensione del mondo che ci circonda.
Tu cosa ne pensi?
Hai l’impressione di sentirti sempre dannatamente senza una lira? Tutto normale: è il bias chiamato Prosperity Paradox (non distante dal money dysmorphia di cui avevo scritto un po’ di tempo fa).
Non so voi, ma io non riesco a scrivere o lavorare se intorno a me non c’è silenzio assoluto. Invidio quelli che riescono a lavorare con un sottofondo musicale, col chiacchiericcio da bar o quello da ufficio. Leggendo questo articolo mi sono sentito un po’ meno strano, anche perché dietro c’è una spiegazione scientifica.
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