Ciao e buon venerdì da Catania!
mi trovo qui per qualche giorno di decompressione, e perché è qui che ho deciso di battezzare il mio piccolo frugoletto!
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Non sono mai stato un grande appassionato di auto, né mi considero un esperto. Ora, dopo tante scottature, conosco il minimo indispensabile che mi permetta di non avere significative rotture di palle durante l’utilizzo quotidiano.
Il problema è che il mio scarso interesse (misto ad ignoranza, diciamolo) mi ha fregato più di una volta in passato, soprattutto in caso di riparazioni o semplici controlli. Qualche anno fa portai la mia malandata Alfa Mito in officina per un problema, e il meccanico disse che con ogni probabilità si trattava della cinghia di distribuzione da sostituire. Ricordo benissimo la mia espressione che fingeva di aver capito cosa fosse una cinghia di distribuzione. E ricordo, ancor più distintamente, il conto che mi presentò. Non avevo idea se fosse un prezzo giusto (colpa mia, non chiesi in giro ad altri meccanici), né se il guasto fosse davvero quello o qualcosa di più banale. Ma tant’è: mi fidai. E pagai.
Questa dinamica subdola e molto diffusa si chiama asimmetria informativa. Tradotto in parole povere: uno ne sa di più, e l’altro si fida. E chi si fida, quasi sempre, paga.
L’asimmetria informativa è una distorsione comune in tanti settori, dalla finanza alla sanità, in cui una parte dispone di più o migliori informazioni rispetto all’altra, compromettendo l’equilibrio nei processi decisionali. Questo squilibrio si può manifestare in diverse forme, e può derivare tanto da carenze culturali quanto da vera e propria disinformazione. Succede dal meccanico, dall’idraulico, dal medico, ma anche nella burocrazia, i mutui, i contratti di collaborazione, you name it. La verità, per quanto scomoda, è che non è possibile sapere tutto. Ma si può sapere qualcosa in più degli altri. E in certi contesti, quel piccolo scarto di conoscenza fa un’enorme differenza.
Ora, con l’intelligenza artificiale che è diventata ormai a pieno titolo parte integrante della nostra quotidianità, queste asimmetrie informative possono diminuire o aumentare in modo significativo. Da una parte le può ridurre considerevolmente recuperando informazioni e rendendole disponibili per l’utente che ne saprà trarre beneficio, dall’altra c’è il serio rischio di fidarsi ciecamente dei contenuti generati da essa (a causa della loro coerenza e plausibilità) anche quando questi possono essere inaccurati o addirittura fuorvianti. Le cosiddette allucinazioni (risposte errate o inventate), la diffusione inconsapevole di bias contenuti nei dati di addestramento e l’incertezza sull’affidabilità delle fonti restano criticità tutt’altro che risolte.
In effetti, possiamo considerare le intelligenze artificiali generative come protesi cognitive. Ma come ogni protesi, se usata senza criterio, finisce per indebolire ciò che dovrebbe sostenere: in questo caso, la capacità di ragionare. Si ha l’illusione di guadagnare tempo, quando in realtà si sta contraendo un debito cognitivo. E come ogni debito, anche questo prima o poi presenterà il conto, con gli interessi.
Nella newsletter scorsa avevo scritto della mia decisione di sospendere l’abbonamento a ChatGPT Plus e limitarne l’utilizzo, così da provare a stimolare creatività e sforzo mentale. E, in un certo senso, anche le parole del più autorevole Paul Graham vanno in questo senso, quando avverte che il mondo si dividerà presto in chi sa pensare e chi no. E c’entra la scrittura (fa specie che a dirlo non sia un romanziere ma un investitore della Big Tech).
Scrivere (bene) è difficile perché implica pensare in modo chiaro. E pensare chiaramente, oggi come ieri, non è per tutti. Ma mentre in passato non si poteva scappare, oggi l’intelligenza artificiale offre una scorciatoia comoda e socialmente accettata. E questo rischia di portare ad una spaccatura netta tra chi scrive (e quindi pensa) e chi no.
In Italia poi, dove l’analfabetismo funzionale tocca percentuali allarmanti, si moltiplicano gli utenti (e tra questi tantissimi giovani) che usano o fruiscono di contenuti generati artificialmente senza minimamente interrogarsi sulla natura e provenienza degli stessi. È la versione Gen Z del “l’ho letto su Facebook”.

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Cosa dovrebbero fare i creativi (quelli in carne ed ossa)?
Il paradosso è che, nel contesto del marketing, questa asimmetria informativa rischia invece di scatenare un effetto inverso.
Zuckerberg ha detto a chiare lettere, in questa intervista per Stratechery, che l’IA finirà per sostituire gran parte del lavoro svolto oggi dalle agenzie creative: penserà alla produzione di contenuti, script, immagini promozionali. Con l’IA tutto è scalabile, automatizzabile, targettizzabile. Al millimetro. E non ha mica torto. La macchina è più veloce, più economica, più prevedibile.
Il punto è che questa narrazione ha una falla profonda, ossia quella di confondere la creatività con il prodotto finito, e dà per scontato che l’utente finale possa in futuro preferire un contenuto generato artificialmente rispetto ad uno frutto della creatività umana.
Innanzitutto le aziende che delegano la propria narrazione ai modelli linguistici, perdono voce e tono. E poi lo saprai bene, ormai: l’intelligenza artificiale non è creativa, è reattiva, nel senso che assembla, rimescolando pattern e soluzioni già esistenti. I contenuti diventano quindi corretti e quasi perfetti dal punto di vista estetico, ma senza intenzionalità, senza punti deboli, senz’anima. Prendo in prestito anch’io le parole del noto creativo Vigorelli (via
) dicendo che:“La forza del creativo è l’errore: se puoi sbagliare lo sei, altrimenti diventi solamente un tecnico”.
E se tutto quello che produce l’IA è perfetto, non c’è più sensibilità, non c’è più passione. Non c’è più traccia di un essere umano.
Sarà quindi inevitabile che anche il pubblico, già sottoposto a messaggi generati in serie, inizi a sviluppare anticorpi contro questo tipo di comunicazione. Soprattutto quando non c’è una storia dietro.
Cristian Micheletti racconta egregiamente su Linkedin com’è stata accolta (male, ça va sans dire) Zoe De Biasi, la prima fit-influencer completamente generata dall’IA.
I social media non sono canali pubblicitari; sono piattaforme di narrazione. Gli utenti non cercano annunci patinati, ma storie autentiche che risuonino con le loro esperienze. Come sottolinea Gary Vaynerchuk, non si tratta di fare pubblicità, ma di offrire valore nel contesto in cui le persone si trovano.
Zoe è un personaggio senza conflitto, senza passato, senza evoluzione. Non è un'eroina, è una cartolina. Una testimonial di plastica che parla di corpo e benessere ma non ha un corpo, non ha limiti da superare, non ha paura né fatica. Non ha niente che assomigli davvero alla nostra esperienza. E quindi non ci riguarda.
Il problema non è tanto che Zoe sia finta. Il problema è che non racconta niente.
Se l’articolo ti è piaciuto, fammelo sapere come preferisci: un cuoricino, un messaggio, un commento qui sotto. Quello che vuoi tu.
Un abbraccio,
Antonio
- ha lanciato un corso di 6 settimane che insegna a creare contenuti per LinkedIn per un anno intero. Invece di creare prima il corso completo, ha venduto l'idea a un piccolo cluster di persone selezionate, per vedere se funzionava e per raccogliere consigli su come migliorarlo. Di queste, 16 hanno comprato, dandogli un buon segnale per sviluppare meglio il corso in futuro. In più, si è lanciato in una sfida molto particolare: creare un prodotto digitale ogni mese per un anno e capire cosa funziona davvero vendendolo direttamente. Sulla sua newsletter puoi seguirlo in questo interessantissimo percorso.
Il marketing multilivello (MLM) non muore mai, si reinventa e basta. Prima si usava il passaparola mentre ora sta vivendo una seconda giovinezza, grazie a piattaforme come Instagram e TikTok.
La palestra non è più solo un posto dove ci si allena, ma un palcoscenico dove si mette in scena sé stessi. Si mostra la fatica, il sudore, il corpo che cambia, come se tutto facesse parte di uno spettacolo per i social. Da non perdere l’approfondimento sulle dinamiche del fitness social, su Rivista Studio.
Violetta Bellocchio spiega egregiamente cos’è la Audience Capture, per LINK.
Figma vuole fare concorrenza a Canva (ma non solo) lanciando nuovi prodotti come Figma Sites, Figma Buzz, Figma Make e Figma Draw.
Visto che si avvicina l’estate magari ti farà piacere sapere quali sono le spiagge più belle del mondo secondo il World 50 Beaches. Non per spoilerare, ma in prima posizione ce n’è una della mia amata terra.
Mind Palace è come un segretario super smart che si ricorda tutto per te: le conversazioni con gli amici o i colleghi, le note che hai scritto, le canzoni che hai ascoltato, le ricerche che hai fatto, i messaggi che hai mandato.
Cursorful è un’estensione per browser che ti consente di registrare lo schermo in modo pulito e professionale. Ogni volta che clicchi qualcosa, la videocamera virtuale fa uno zoom sul punto giusto, come nei video tutorial fatti bene. Niente cloud, niente iscrizioni obbligatorie e funziona su tutti i sistemi.
Meco è dove posso godermi le mie newsletter preferite fuori dalla casella email in tutta calma, leggendole in modo più pulito. E l’app, sia per iOS e ora anche per Android, è fatta molto bene.
Buona Catania e auguri a voi e piccoletto
Complimenti per questa nuova ed interessante analisi sulle AI. Lavoro come programmatore a Londra e sempre di più il codice viene scritto dalle AI, in particolare Microsoft Copilot (basato su Open AI) e Google Gemini. Sto notando che alcuni miei colleghi si sono arrugginiti in poco meno di un anno, sono molto meno fluenti nello scrivere in JavaScript di come lo erano prima. Ora sono più bravi a fare richieste alle AI ma questo genera un altro problema ancora, quale: alle volte ci ritroviamo davanti a softwares che sono stati scritti all’80% da AI e se c’è un errore che quest’ultima non riconosce, noi quasi non sappiamo dove mettere le mani perché non abbiamo scritto il codice. Personalmente, sto cercando di continuare a mantenere l’atteggiamento che hai menzionato nella tua newsletter, ovvero provare a pensare con la mia testa, scrivere codice da solo, provare a risolvere un problema da solo in un un’ora piuttosto che con Google Gemini in 1 minuto, anche se le aziende del tech vanno in tutt’altra direzione. Sono convinto che il futuro è quello che hai menzionato in questa piacevole newsletter, quelli che sapranno ancora pensare avranno una marcia in più. Perdonami se mi sono dilungato (ti do del tu dato che forse siamo coetanei). Goditi Catania e buona giornata