Ehilà!
Vi è piaciuto il podcast fintissimo dell’edizione scorsa che riassumeva il contenuto della newsletter? Onestà:
L’edizione di oggi è sponsorizzata da Salesforce, che offre degli interessantissimi webinar gratuiti per imparare a sfruttare al meglio l’IA in ogni contesto lavorativo.
Sai che puoi ancora partecipare al programma referral? Una volta condiviso il link personale (che trovi qui) e se i tuoi amici e colleghi si iscriveranno, riceverai un grazioso omaggio, in base a quanti di loro hai invitato.
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SPONSOR
Dal 23 al 26 giugno, Salesforce ti invita a scoprire come l’IA può rivoluzionare il lavoro nella tua azienda, semplificando i processi e aumentando la produttività. Partecipa ad una serie di webinar gratuiti pensati per chi vuole integrare l’intelligenza artificiale in modo sicuro, trasparente e orientato ai risultati. Scoprirai, ad esempio, come automatizzare le attività più ripetitive, migliorare l’efficienza dei processi e offrire esperienze ancor più personalizzate. I contenuti saranno disponibili anche on demand, per permetterti di seguirli in qualsiasi momento. Iscriviti ora e inizia a costruire il futuro del lavoro con l’IA.
Qualche settimana fa ho verificato la mia identità su LinkedIn. Scansione del documento, riconoscimento facciale con Persona, e pochi minuti dopo ero un utente con badge scintillante.
La promessa di maggiore visibilità algoritmica promessa da Linkedin ha avuto il suo peso nella decisione, claro, ma mi sono accorto che stavo facendo qualcosa di più significativo.
Mi spiego meglio.
Ti ricordi com'era il web nei primi anni? Sui rimpianti mIRC o MSN potevi reinventarti ogni settimana con nickname sempre più creativi, e i forum pullulavano di pseudonimi che nascondevano chissà chi, chissà dove. Era un mondo fatto di pochi, magari nerd e pionieri digitali che giocavano con le ultime diavolerie tecnologiche. L'anonimato non era una scelta, ma la regola.
Poi è successo qualcosa. Il web è diventato di tutti.
E, come se non bastasse, è arrivato Facebook a rompere le uova nel paniere nel modo più subdolo possibile, convincendoci che mostrarsi fosse figo, e con Zuckerberg che sembrava avesse davvero trovato la quadra. Identità reali per tutti, sistemi di recupero account basati su documenti veri, un grande esperimento sociale in cui finalmente sapevi con chi stavi parlando.
Come spesso accade però, l’ultima parola è del vile denaro: l'identificazione è diventata premium e le piattaforme tech hanno scoperto che la gente è disposta a pagare pur di essere riconosciuta. Su Meta la verifica costa 14 euro al mese (Instagram a parte), mentre le aziende possono arrivare a spendere fino a 350 euro. Lo stesso copione si ripete su altre piattaforme come X o TikTok. Puoi essere un santo o un truffatore, ma se hai la carta di credito, sei un utente verificato.
Nonostante questi bislacchi cortocircuiti di sistema, continuo a credere che un’identità verificata per tutti sia la cosa più sana e vitale da introdurre nel contesto digitale odierno.
Prova solo ad immaginare un mondo virtuale dove i bambini non possono fingersi adulti per accedere a contenuti potenzialmente pericolosi o disturbanti. Dove scrivere commenti intrisi di odio diventa azzardato quando c'è la tua faccia ed il tuo vero nome collegato. Dove le fake news o la sbobba artificiale perdono terreno fertile perché chi le diffonde sa di essere riconoscibile in pochi minuti. Dove i crimini online potrebbero lasciare impronte digitali tali da condurre fino a casa del colpevole (salvo contraffazioni).
Il problema della fiducia online è diventato una ferita non ancora rimarginata. Con l'intelligenza artificiale che genera contenuti sempre più realistici e i deepfake che ci fanno dire cose mai pronunciate, come fai a sapere di chi ti puoi fidare? Come costruisci relazioni autentiche in un ecosistema dove l'inganno si può nascondere dietro ogni avatar? Il paradosso è che mostriamo documenti senza battere ciglio per aprire un conto in banca, per prenotare una visita medica, per iscrivere i figli a scuola, persino per scommettere cinque euro sulla partita di Champions League. Ma quando si tratta di social, la nostra vera identità diventa un tabù.
Di cosa abbiamo paura, davvero? Che qualcuno scopra chi siamo? Che i nostri dati finiscano chissà dove? Che si possa essere discriminati per quello che siamo?
Paure legittime, per carità. Ma mi domando se i rischi siano davvero più numerosi e discriminanti dei benefici.
Il motivo per cui la verifica obbligatoria non esiste ancora è molto più semplice: costerebbe troppo e farebbe scappare troppa gente, e le piattaforme lo sanno. Alcuni utenti andrebbero via per pigrizia, altri per incapacità tecnica, molti altri per pura diffidenza. E non mancano le persone senza documenti validi, come le popolazioni che vivono ai margini dei sistemi burocratici ufficiali. Facebook da solo ha oltre 3 miliardi di utenti. Le risorse necessarie per verificarli tutti sarebbero ingenti.
E anche se domattina fossimo tutti verified, il web resterebbe comunque un posto complicato. La regolamentazione dei contenuti, la disinformazione, l'imperfezione dell'intelligenza artificiale nella moderazione automatica, la mancanza di trasparenza e l'educazione digitale degli utenti. Secondo una ricerca di Pew Research Center, solo il 56% degli utenti internet gestisce attivamente le proprie impostazioni sulla privacy.
Insomma, c’è ancora un mondo da costruire. Ma da qualche parte bisogna pur iniziare.
Io immagino un sistema di identità digitale unificato che funzioni come un passaporto per il web. Non necessariamente obbligando tutti a usare nomi veri, ma garantendo che dietro ogni profilo ci sia una persona reale, verificata, identificabile.
E io di questo mondo voglio esserne parte, con il mio nome, la mia faccia, le mie responsabilità.
Linear è una startup diventata profittevole al secondo anno raggiungendo 10.000 clienti paganti praticamente senza marketing. Come? Facendo qualcosa di rivoluzionario: hanno costruito un prodotto che funziona bene e fa quello che promette senza romperti le palle. Questo articoletto spiega bene la visione di come si dovrebbe fare business.
Generare dei video con VEO3 di Google è ancora un po’ dispendioso (circa 6$ per 8 secondi di durata), ma senza dubbio divertente. In questo post trovi qualche segreto per trarre il massimo dal modello generativo video più temuto dai videomaker del globo.
Freeda ci ha lasciati. Alessa Camera, nella sua newsletter, ci spiega perché.
Il futuro è dell’Experential Design.
Una notizia da tenere d’occhio nei prossimi mesi riguarda la causa intentata da Disney e Universal contro Midjourney per violazione del copyright (qui la lettera degli avvocati). È la prima volta che due colossi di Hollywood intraprendono un’azione legale contro uno sviluppatore di intelligenza artificiale. E da questa diatriba passerà gran parte del futuro del settore, presumo.
Zoe Scaman ha pubblicato un'altra delle sue interessanti presentazioni, questa volta incentrata sullo stato attuale della strategia nel mondo della comunicazione e del marketing.
Il report PWC The Fearless Future: 2025 Global AI Jobs Barometer ci dice che le industrie più esposte all'AI stanno registrando una crescita della produttività tre volte superiore rispetto a quelle meno esposte. Persino i lavori considerati automatizzabili (quelli che tutti davano per spacciati) stanno vedendo crescere sia il numero di posizioni che le retribuzioni. È come se l'automazione, invece di sostituire le persone, le stesse liberando per fare cose più complesse e creative.
Descrivi la scena di un film, tipo un brutto ceffo che conta del denaro e OZU ti mostra tutte le immagini di tutti i brutti ceffi che maneggiano denaro in un determinato film. Un sito tendenzialmente inutile e che quindi adoro.
Su NotionEverything troverai più di 20 template per Notion creati da esperti, con opzioni gratuite e a pagamento, per organizzare il tuo lavoro, le tue finanze, i tuoi clienti o i tuoi progetti. Ogni modello ha una sua struttura, un design minimalista ed è progettato per adattarsi al tuo flusso di lavoro. C'è anche una sezione interessante con articoli, tutorial e risorse gratuite.
Manus è come ChatGPT, ma che lavora da solo dopo che gli fornisci i giusti prompt. Se ti iscrivi seguendo il mio link hai 500 crediti gratuiti (e io pure). Invece Jan è come ChatGPT, ma da scaricare sul tuo computer.
E infine Record Club è come Goodreads ma per la musica.
Meco è dove posso godermi le mie newsletter preferite fuori dalla casella email in tutta calma, leggendole in modo più pulito. E l’app, sia per iOS e ora anche per Android, è fatta molto bene.