Ciao!
Questa - con ogni probabilità - sarà l’ultima newsletter dell’anno, nonché decisamente natalizia. Colgo l’occasione per dirti grazie per esserti sorbitə le mie elucubrazioni mentali per tutti questi mesi. C’è sempre il rischio di darlo per scontato, ma è una cosa davvero importante e te ne sono e sarò sempre grato*.
Un abbraccio e buone feste!
Antonio
*ovviamente mi auguro che continuerai a farlo anche nel 2025. Se invece non vuoi più ricevere la newsletter, diamoci un taglio. Puoi sempre cancellare l’iscrizione usando il link in fondo a questa email. Non mi offenderò, giurin giurello.
Status symbol, oggetto di design, trofeo gastronomico da esibire orgogliosamente sul tavolo. Nella sua forma più pura, ma anche e soprattutto nelle sue infinite varianti, il panettone è uno straordinario esempio di come si possa prendere un prodotto - anche piuttosto basico - e condurlo attraverso un product journey leggendario.
Ogni stratega del marketing sa che per vendere bene una storia, devi innanzitutto averla. E il panettone di storie ne ha tante. Dalle tavole dei nobili milanesi (o francesi?) alle prime pasticcerie artigiane, la narrazione punta sempre a creare il solito abusato ponte emotivo, che all’incirca suona spesso così: dolce nato da un lievito madre secolare, impastato con lentezza e un enorme rispetto per le materie prime. Che poi nessuno si mette mai davvero a controllare l’età esatta di quel lievito madre, ma la ricetta - quasi sempre - funziona.
Questa mia newsletter nasce dalla visione, in un supermercato qualunque, di un cartonato a grandezza naturale (e quindi bello grosso) di Antonino Cannavacciuolo e del suo panettone artigianale con cubetti di mela annurca da 58€, che campeggiava nella corsia dedicata ai dolci natalizi, e dalla constatazione, in un clima di celodurismo del lievitato, che la gara a chi ce l’ha più artigianale dell’altro è sempre più combattuta, sia offline che online.
I muri di panettoni, a dire il vero, sono piazzati ovunque sin da Novembre, e ce ne sono di ogni tipo: dallo scaffale ricolmo di quelli base a pochi euro, fino alle confezioni gioiello dei laboratori artigianali, da regalare all’amico radical chic e gourmet perché, nonostante la crisi e l’inflazione il panettone continua a piacere sempre tantissimo.
Nel 2023 la produzione industriale ha registrato una crescita del 3,5% in termini di volume, raggiungendo le 37.647 tonnellate, e del 6,5% in valore, toccando i 237,9 milioni di euro rispetto all'anno precedente.
Il freno alla crescita del comparto artigianale arriva invece dal Sud Italia e dalla Gen Y (-0,9% diminuzione dei volumi vs a.p.). Resiste il target anagrafico con la disponibilità di spesa più elevata. Ma si sa, geograficamente, il Nord Italia guida sempre la domanda e i consumatori di lunga data continuano a scegliere panettoni artigianali, spesso con acquisti più frequenti anche se in quantità ridotte.
C’è da dire che anche se i prezzi aumentano, il panettone va bene più o meno per tutte le tasche, con la segmentazione del mercato che è chiara: il panettone industriale rassicura con pricing e disponibilità continua ma quello artigianale o firmato si fa desiderare, come un vero e proprio oggetto di culto. D’altronde il panettone è anche la rappresentazione del lipstick effect applicato al cibo: il lusso abbordabile che fa sentire il cliente speciale.
Il bravo markettaro sa che sono due pubblici diversi, ma non si lascia certo sfuggire l’occasione: da un lato, la semplicità di un dolciume per tutti, dall’altro, l’esclusività di una bontà rara (magari ad edizione limitata). E se a metterci la faccia è uno chef stellato allora diventa il prodotto con la più alta marginalità (anche se quello di Barbieri per Motta pare non sia tutto sto granché e si trova già scontato sugli scaffali). Ed il motivo per cui il panettone piace così tanto nelle segrete stanze degli uffici marketing è che il prodotto si presta a tante innovazioni e declinazioni per user persona, come quello francese con alghe e yuzu per Roberto, 57 anni, milanese, dirigente, single e che ama l’aperitivo alternativo.
Un’altra cosa che fa gola a chi deve promuovere questo tipo di prodotto è l’elevata de-stagionalizzazione. Perché limitarsi al Natale? I marketer più audaci sanno che un prodotto così iconico può essere liberato dal calendario e trasformato da prodotto di ricorrenza a uno quattro stagioni. E allora via a panettoni per Pasqua, San Valentino, e pure quelli per i mesi più caldi. Questa estate in Sicilia ne ho assaggiato uno a base di Marsala e anche se sono più un tipo da pandoro l’ho apprezzato particolarmente, ma queste cose le faceva già Fiasconaro prima che fosse cool. Quindi, se un prodotto spinge, perché non riproporlo anche off-season?
E poi il panettone chiama il co-branding. Così un’azienda o una personalità può offrirli con il proprio logo o la propria faccia, o lanciarsi in ardite collaborazioni. C’è chi si è fatto male in questo modo, anche se con un pandoro, ma rimane comunque un playbook consolidato: il cliente si sente unico, non sta comprando più solo un panettone, ma la versione del suo chef / influencer / brand preferito. Per i CMO è una manna: più personalizzi, più la gente si innamora dell’idea che quel prodotto sia stato creato ad hoc, apposta per loro.
Insomma, è un dolce che mette tutti d’accordo. Ma c’è una cosa che continua ad accendere il dibattito, ed è sempre quella: il pricing.
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Molti utenti ancora non si capacitano di come un agglomerato di farina, burro, lievito e uova possa costare più di 10€, e non mancano mai di farlo notare sotto i video dei poveri malcapitati di turno.
Come chiedere cifre apparentemente alte per un panettone, quindi? Il marketing ha una risposta semplice: far percepire che non vendi solo il dolce, ma tutta la storia, il sapere artigianale, la qualità inarrivabile. Come se fosse un abito di sartoria. Poi chi non può o non vuole spendere tanto si accontenta del panettone a pochi euro, magari da discount, ma anche qui il marketing fa da bussola: differenzia l’offerta, posiziona il prodotto, manipola la percezione, ciascuno con una sua versione (o reinterpretazione, si suol dire).
Da Cova a Cracco, passando per Massari, Longoni e chi più ne ha più ne metta. Il panettone è diventato uno status symbol, una tela bianca su cui chef e pasticceri possono esprimere la propria creatività e identità. E non importa se la ricetta è tradizionale o rivisitata: quello che conta è lo storytelling che c’è dietro. Il burro è di malga, il cioccolato fondente 99% viene dall’Ecuador, la vaniglia tahitiana ed il lievito madre ha 50 anni di storia tramandata con reverenza di padre in figlio. Più gli ingredienti sono ricercati e la narrazione è curata, più cresce il valore percepito.
A Maggio scrivevo così, in merito al pane luxury, anch’esso milanese:
A Milano tutto diventa un brand (come le celeberrime Week) o iconico e ciò che viene dipinto come slow, bio, handmade, autentico, pre-loved include un costo di maggiorazione, secondo la teoria della differenziazione di Porter. Trasformare l’ordinario in straordinario è una competenza e, come tale, va monetizzata.
Ecco, per giustificare il prezzo di un panettone da 80€ servono le stesse abilità. In un immaginario fil rouge che unisce pane e panettone, qui la descrizione di quello Super firmato Cracco:
La narrazione stessa dietro un panettone artiginale è un rito di iniziazione, al quale il consumatore partecipa volentieri: acquistandolo, fotografandolo e condividendolo con orgoglio su TikTok.
Che sia il panettone classico o quello con ingredienti dai nomi esotici e sconosciuti, per venderne uno, l'importante è che il suo acquisto diventi un’esperienza memorabile. In fin dei conti, si torna sempre lì: non si vende quasi mai un prodotto, ma l’idea di ciò che quel prodotto vuole rappresentare.
Anche se si tratta di acqua, burro, zucchero, lievito e farina.
Google NotebookLM utilizza l’IA per trasformare note scritte/PDF in sintesi audio simili a podcast. Sebbene sia generalmente limitata al solo inglese, c’è una tecnica di jailbreaking che consente la generazione di podcast anche in altre lingue (con risultati alterni, ahimè). L’ho utilizzato nella newsletter di oggi, e se vuoi, su Linkedin ho spiegato come crearne uno simile.
Vedendo l'hype intorno a tool come Replit o Lovable, che consentono di creare applicazioni software complete a partire da un semplice prompt, questo articolo capita a fagiuolo. Secondo l’autore, ci sarà presto un’esplosione di creator di software, significativa quasi quanto quella dei creator di contenuti.
Ricerca di NilsenIQ: i consumatori hanno riconosciuto la maggior parte degli annunci generati dall'intelligenza artificiale, percependoli come meno coinvolgenti e più "fastidiosi", "noiosi" e "confusi" rispetto agli annunci tradizionali. Più o meno related: i trend di marketing più sopravvalutati secondo i CMO.
Succession (ma per davvero, non la serie TV).
Quali saranno i trend del web design 2025?
Don’t judge a book by its cover, si dice. Ma queste sono le 167 copertine dei libri più belle del 2024. Consiglio furbo: scaricatele, stampatele, incorniciatele e usatele per arredare casa.
Oh, ora anche alcune case hanno il proprio account Instagram.
Le parole più cercate nel 2024 su Google.
Il purpose di un brand è davvero così importante?
Beam è un’app di web analytics con analisi del funnel e possibilità di creare eventi custom, con un generoso piano gratuito di 100k visite per sito. Si, lo so: "Antò, perché usare questo quando c’è Google Analytics?” Beh, intanto è molto più semplice da usare, poi è cookie free e compliant con la GDPR.
Alcune app basate su IA fighe: questa ti fa scrivere con l'intelligenza artificiale generativa ma in modo umano. Questa genera idee per video, titoli e miniature Youtube. E questa ti fa creare video a partire da file di testo o audio.
Sendview è una simpatica applicazione che consente di scoprire con quale ESP viene inviata una newsletter.