Buon venerdì!
La newsletter di oggi è supportata da wethod, che ti propone una promo niente male per il 2024. La scopri più avanti.
LetMeTellIt cambia pelle. O, meglio, cambia approccio.
Arriva per tutti un momento in cui si sente la necessità di dare una rotta ben precisa a qualcosa. E la nuova rotta per questa newsletter prevede il tentativo di dar maggior spazio ad analisi più approfondite da parte del sottoscritto. Analisi che richiederanno ricerca, riflessioni e, inevitabilmente, una minor quantità di uscite.
Il focus delle mie email rimarrà immutato, sia chiaro: tecnologia, società, business, innovazione e tutti quegli argomenti che proverò a decifrare con la mia personalissima lente d'ingrandimento.
Spero che la nuova direzione che ho intenzione di intraprendere sia di tuo gradimento. Se non lo fosse, grazie comunque del tempo passato con me.
A presto,
Antonio
PS: Questo post potrebbe essere tagliato da alcuni client di posta elettronica. Clicca qui per leggerlo online.
Un po’ di tempo fa avevo lanciato con Jacopo Perfetti un progetto che, nelle nostre menti, sarebbe dovuto diventare un modo carino per certificare il nostro amore per le newsletter come mezzo di comunicazione online (e guadagnarci qualcosa nel mentre).
Per farlo, avevamo deciso di progettare un servizio on demand, con la quale avremmo seguito i clienti dalla A alla Z, dall'ideazione del brand fino all'invio, passando per stesura del PED, impostazione dell’ESP e design.
Il supporto dell’IA unito a processi, tempistiche e pricing ben definiti ci avrebbe consentito di tenere costi contenuti, senza intaccare la qualità del prodotto. Il piano sarebbe dovuto essere quello di creare sia branded o pop-up newsletter per eventi particolari che migliorare l’email marketing aziendale in modo lean. Lettera (questo il suo nome) era quindi un servizio, ma anche un prodotto. Gli anglofoni lo avrebbero chiamato un Productized Service.
Insomma, idea eccitante dal nostro punto di vista ma, nonostante alcuni interessamenti mai troppo convinti, le cose non sono andate come avremmo voluto e, dopo circa 6 mesi, abbiamo deciso di chiudere. Per noi un piccolo fallimento - sì, non è peccato dirlo - ma anche una grande opportunità di apprendimento. Gli esempi provenienti dagli Stati Uniti ci avevano spinto verso una decisione che forse, con una ricerca preventiva, ci avrebbe potuto far risparmiare qualche spicciolo in più e diverse ore di lavoro.
D’altro canto le statistiche dicono che le newsletter piacciono ancora, ma rimangono una una piccola goccia nell’infinito mare dei mezzi di comunicazione. Gli esempi a stelle e strisce sono stati ispiranti, ma ogni mercato ha le sue specificità e l’Italia non era (non è, e forse non sarà) ancora pronta per questa tipologia di prodotto.
I tanti pro ed una grandissima considerazione che avevamo del nostro progetto ci ha spinto ad osare e definire le newsletter come i nuovi social media: un modello pull e non push, meno dipendenza dagli algoritmi e dai capricci del miliardario della Silicon Valley di turno, maggiore approfondimento dei contenuti. Anch’esse, così come le altre piattaforme, non sono poi così distanti dal concetto ancestrale di rete sociale dove una comunità si riunisce - in un non luogo, in questo caso - e dove può ritrovarsi con altri utenti che hanno a cuore un determinato argomento. Io l’ho pensata così con la mia newsletter, Jacopo anche, e tutti i newsletterati converranno con me. Di contro, richiedono un consumo dei contenuti in modalità attiva, alla quale viene preferito sempre maggiormente quella passiva di video, shorts, reels o podcast.
Nonostante tutto, sono ancora convinto che le newsletter siano i nuovi social network.
E se due tesi contrastanti possono essere entrambe corrette, quello che si sta verificando negli ultimi anni mi può dare ragione.
Fatemi elaborare.
Quanto accaduto con Twitter ed Elon Musk, ne è una prova inconfutabile. Dopo un'acquisizione con non pochi tumulti, il CEO di Tesla ha applicato i suoi metodi gestionali notoriamente poco ortodossi per dare una scossa ed accelerare la crescita della piattaforma. Risultato? Licenziamenti in massa, crollo delle entrate pubblicitarie e un rischio di abbandono di centinaia di migliaia di utenti. Diretta conseguenza di questo caos è la nascita / rinascita di progetti alternativi come BlueSky, Mastodon o Threads. Eppure, nonostante la presenza di valide alternative, la migrazione di massa che si prevedeva potesse verificarsi alla fine non c'è stata. Successiva, in ordine cronologico, c’è stata la rivolta degli utenti Reddit, a mio avviso perfetta illustrazione della situazione a livello macro e che ha inevitabilmente contribuito a generare confusione anche nell’utente finale.
In un articolo di Vice dello scorso anno, si diceva che non sappiamo più come usare i social. Il video che ho appena girato, lo pubblico su TikTok, Youtube, Instagram, Twitter o Mastodon? Lo lascio in griglia o faccio una storia? A furia di evolversi di continuo e di aggiungere nuove funzionalità, l'utente è smarrito, con una sola conseguenza concreta: pubblica di meno. E sembrerebbe preferire una navigazione più intima.
"Le persone si stanno orientando verso modi di trascorrere il tempo online che si discostano dai social media che hanno dominato gli ultimi anni" afferma Biz Sherbert, redattore presso Digital Fairy, un'agenzia creativa e specialista in cultura giovanile e web. Ritengo che ciò non significhi che le persone trascorrano più tempo offline, di per sé, ma che si stiano dedicando maggiormente a piattaforme più di nicchia rispetto ai loro interessi: Twitch, Discord, Reddit, VR, qualsiasi cosa. Spesso, queste mosse rispecchiano il modo in cui le persone passavano tempo online prima dell'omologazione del web da parte dei big: le chat room degli anni 2000 sono ora i server Discord e i blog su Blogspot o Tumblr sono oggi le pubblicazioni su Substack".
I social insomma non sono più il luogo dove accadono le cose, ma uno dei tanti, sempre più frammentato, diverso da come lo immaginavamo fino a qualche anno fa. Il concetto di Dark Forest che avevo ripreso a Maggio, è più attinente che mai.
La rivincita delle community
Gran parte del pensiero comune verte sul ritorno al modello delle community chiuse e all'allontanamento implicito dalle piattaforme algoritmiche mainstream.
Inizialmente, luoghi come Facebook e Twitter erano usati principalmente per rimanere in contatto con amici e conoscenti. Con l'ascesa dei creator e l'avvento di piattaforme come Instagram o TikTok, la focalizzazione si è spostata sull'intrattenimento. Le piattaforme incentrate sull'audience mirano a intrattenere e mantenere gli utenti attivi il più a lungo possibile, spesso attraverso sistemi che personalizzano i contenuti come TikTok e Instagram e che utilizzano approcci top-down nella distribuzione dei contenuti.
Invece, le piattaforme basate sulla community enfatizzano le interazioni interpersonali ed il dialogo, e consentono agli utenti di decidere le priorità delle conversazioni, come su Reddit, dove i contenuti vengono valutati e premiati dagli utenti stessi. Mentre i contenuti basati sull'audience richiedono un approccio tradizionale e di intrattenimento, quelli centrati sulla community dovrebbero essere più orientati al dialogo e alla costruzione di relazioni.
Tuttavia, non tutte le community online sono uguali. Possiamo distinguere le piattaforme social in base a quattro tipologie, così come definite dal modello di Ethan Zuckerman, che ho particolarmente apprezzato:
1: Centrally owned, single set of rules (Meta, Twitter, ecc.);
2: Centrally owned, multiple rule sets (Reddit, Discord, ecc.);
3: Decentralized ownership, central rules (i cosiddetti fediverse, come Mastodon);
4: Decentralized ownership, decentralized rules (alcuni social molto più di nicchia come ad esempio 150 - che prende il nome dal numero di Dunbar, ossia il limite massimo di amici che il nostro cervello è in grado di gestire);
Soprattutto il terzo gruppo di reti ci porta a ragionare sui concetti di piattaforme aperte ed interoperabilità. In passato, sono stati lanciati progetti di standardizzazione delle attività come FOAF (Friend of a Friend). Poi sono comparsi gli smartphone e con loro tante app per le quali gli utenti hanno sacrificato la propria privacy (Instagram, Snapchat, TikTok, ecc.), ma le battute d'arresto di Twitter hanno ravvivato l'interesse per protocolli di comunicazione aperti e gratuiti come Activity Pub, uno standard promulgato dal W3C e lo stesso sul quale si basa Mastodon. La promessa di Activity Pub è certamente allettante (un protocollo open source e gratuito), ma il pubblico generalista difficilmente sarebbe pronto ad uno shift di tale portata, a causa del complicato funzionamento e dei benefici difficilmente valutabili dai neofiti (che magari vogliono solo postare le foto delle vacanze).
Questo è paradossale, perché ogni giorno utilizziamo protocolli gratuiti ed aperti come l’HTTP per i siti internet o l’SMTP per le email ma non esiste qualcosa di simile per i social network.
In ogni caso, la quantità di contenuti continua ad aumentare senza sosta e non siamo più in grado di discernere ciò che accade online, proprio come quando siamo avvolti da una coltre di nebbia e fatichiamo ad orientarci.
Ryan Broderick chiama questa foschia Vapor Web.
Il web è sempre stato dinamico, ma abbiamo avuto periodi abbastanza lunghi in cui potevamo dire con assoluta certezza: ecco dove sono le audience, ecco quali influencer contano e quali no. Prima si conoscevano le regole del gioco, ora è tutto molto più fluido e non abbiamo più basi solide sulle quali costruire una nostra strategia. La VUCA (volatilità, l’incertezza, la complessità e l’ambiguità) pervade anche l’online, oltre che la geopolitica. Ora prevalgono citazioni, remix, repliche, in una sorta di presente perpetuo digitale. E ciò è dovuto all’infinito di informazioni a cui abbiamo accesso tramite schermi e algoritmi di raccomandazione.
Come utenti, sappiamo che ogni piattaforma integra le funzionalità dei suoi concorrenti. Le storie, ad esempio, si trovano su quasi tutte. I video verticali? Idem. Quindi cosa rende queste piattaforme differenti l’una dall’altra? Non molto ormai.
Gli utenti ormai rimangono per abitudine e non per reale fedeltà, ma sono in continua ricerca di alternative perché sempre più insoddisfatti. Alternative che però non esistono, perché se Threads di Instagram è l’ennesima copia di Twitter, vale la pena iscriversi anche lì? Numerosi tentativi di next big thing come Clubhouse o BeReal hanno dimostrato di non funzionare perché non riuscivano a generare una massa critica di utenti tale che potesse formare una community affezionata. Dunque gli internauti non solo riducono la propria attività, ma vagano da una piattaforma all'altra brancolando nel buio senza sapere bene cosa fare, aspettando invano che qualcuno cambi - ancora - le carte in tavola. Ma, come ampiamente dimostrato, solo in pochi riescono a resistere all’hype e a prosperare per lunghi periodi.
Prendiamo TikTok, ad esempio: ci siamo dentro senza nemmeno avere un account, perché quasi tutti i video che vediamo su Youtube Shorts, Instagram Reels o Facebook arrivano da lì. Questa confusione non ci spingerà certo a creare un account TikTok e men che meno a seguire il suo creator. Anzi, lo dimenticheremo molto in fretta.
Tutto dipende dai contenuti ed anche i legami tra gli utenti tendono a svanire. Mentre i contenuti si rincorrono, tutto finisce per evaporare. L'individuo è ormai solo, il che per una rete sociale è una contraddizione in termini, essendo nata proprio per collegare e non dividere, e l'avvento dell'IA nei nostri feed probabilmente renderà ancor più complesso comprendere le regole del gioco.
Per concludere, Ryan Broderick dice che ora funzionano solo le reti sociali di nicchia. E forse è per questo che le newsletter funzionano così bene. Forse è anche per questo che le newsletter sono i nuovi social media.
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I Maya avevano ragione, dunque? Tutti i grafici indicano il 2012 come un anno di svolta: aumentati i sintomi di depressione e autolesionismo tra gli adolescenti, lettura e matematica in costante declino, il tasso di natalità, che avrebbe dovuto riprendersi dopo essere uscito dalla crisi del 2008, ha continuato a scendere, nei media popolari, la densità di parole legate al razzismo, al sessismo o all’omofobia è salita alle stelle e altro ancora. Quell’anno è stato uno spartiacque, in cui la maggioranza della popolazione mondiale è diventata succube degli smartphone e ha avuto accesso ai social network. Insomma, non sembra essere una coincidenza.
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Gran parte dello shopping online globale parla cinese. Shein, Temu e ora anche TikTok: quali sono le origini di tutto questo successo?
Può una singola recensione online negativa disincentivare l’acquisto da parte di un utente? La scienza dice si, ahimè.
Il Nepal mette al bando TikTok per preservare la sua armonia e compostezza sociale, mentre un numero crescente di americani (quasi il doppio del totale misurato nel 2020) lo utilizza per “informarsi”.
Un’agenzia creativa spagnola ha creato Aitana, un’influencer virtuale generata dall’intelligenza artificiale e già richiestissima dagli sponsor.
Essere ricchi è bello, vero? Eppure ci sono 9 aspetti che ti faranno riconsiderare la questione, descritti minuziosamente da Morgan Housel (quello de “La Psicologia dei soldi”).
Intentional Misdirection, Nagging, Sneaking e altri 7 dark pattern di UX utilizzati per farci compiere determinate azioni o farci rimanere incollati allo schermo.
Perché finiamo sempre a parlare di lavoro? Perché la nostra sopravvivenza dipende dal lavoro. Sono poche le persone che possono scegliere se lavorare: tutte le altre devono “guadagnarsi da vivere”, come si dice. È per questo che il lavoro tende a essere stressante, oltre che centrale. Perderlo può rappresentare una minaccia esistenziale, da evitare a ogni costo. Alcune belle riflessioni nella newsletter
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