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A presto,
Antonio
Una tesi ricorrente sostiene che l'intelligenza artificiale modificherà profondamente il nostro rapporto con i dispositivi che utilizziamo tutti i giorni.
Questo tema è stato ulteriormente enfatizzato dall'annuncio di pochi giorni fa di OpenAI e dalle capacità del nuovo Chat-GPT 4o, un avanzamento che promette di trasformare radicalmente il modo in cui interagiamo con il mondo digitale (un riassunto con tutte le novità più rilevanti lo trovate nel blog di Alessio Pomaro).
Immaginate un futuro in cui, invece di utilizzare tastiere e schermi, comunicheremo con i nostri dispositivi solo attraverso il linguaggio naturale e la nostra voce. Un po’ come Joaquin Phoenix nel film Her. Questo è l'obiettivo dei big della Silicon Valley come OpenAI, Apple (che sta lavorando sotto traccia) o Google, che ha presentato subito dopo Sam Altman il suo Astra, l’assistente virtuale che vede, sente e parla.
Questi prodotti non solo risponderanno alle nostre domande, ma eseguiranno anche una vasta gamma di compiti: dalla semplice ricerca di informazioni alla gestione di attività più complesse come acquisti, pianificazione viaggi, e - chissà, un domani - addirittura offrire supporto psicologico.
Tuttavia, non tutte le ciambelle escono col buco. O, meglio, non tutte le innovazioni tecnologiche riescono a conquistare il mercato.
Recentemente, due proposte di nuovi hardware basati sull'intelligenza artificiale, il Humane Pin e il Rabbit R1, hanno ricevuto recensioni contrastanti. Nonostante le enormi aspettative, le reazioni dei critici sono state tiepide, se non addirittura deludenti. Questi dispositivi promettevano di rivoluzionare il modo in cui gestiamo la nostra quotidianità online, fornendo delle funzioni che avrebbero reso uno smartphone non più necessario. Eppure le promesse fatte sembrano lontane dal realizzarsi.
Il cuore del dibattito è sempre e solo uno: la necessità di superare l’utilizzo dello smartphone. I produttori di dispositivi come Humane e Rabbit sostengono che il controllo esercitato da Apple e Google attraverso i loro sistemi operativi rappresenta un ostacolo significativo allo sviluppo delle loro tecnologie. Queste aziende, infatti, non fanno altro che catturare gran parte del mercato dei servizi e imporre le loro regole ed i loro assistenti digitali relegando i novelli competitor a ruoli marginali.
Da un lato, la tecnologia attuale potrebbe non essere ancora all'altezza della visione ambiziosa di assistenti AI completamente autonomi e affidabili; dall'altro, resta da vedere se i consumatori saranno pronti davvero a rinunciare ai loro smartphone.
Molti potrebbero essere riluttanti a separarsi da un dispositivo diventato centrale nella loro vita. Tuttavia, è vero anche che esiste una certa stanchezza nei confronti di melafonini et similia, al punto che molte persone stanno optando per i cosiddetti dumbphones, dispositivi più semplici e basilari che possono aiutare a sfuggire alla dipendenza tecnologica (giusto qualche giorno fa Nokia, con un’operazione nostalgia, ha riproposto la nuova versione del 3210).
L’esempio di Ray-Ban Smart Glasses
Un esempio più pragmatico di integrazione tra tecnologia AI e dispositivi quotidiani è rappresentato dai Ray-Ban Smart Glasses di Meta. Questi occhiali smart, che ho avuto modo di provare qualche tempo fa, svolgono poche funzioni ma le eseguono bene: scattare foto, registrare video, rispondere a chiamate e riprodurre musica. E gradualmente, stanno incorporando un assistente AI per rispondere a domande basate su ciò che vediamo e sentiamo. Questi occhiali non cercano di sostituire lo smartphone, ma piuttosto integrarlo, riducendo la necessità di guardare costantemente lo schermo.
Naturalmente, nemmeno questa tecnologia è esente da alcune problematiche. Gli occhiali smart sollevano questioni di privacy e di etichetta: come reagiremo sapendo che qualcuno potrebbe registrare una nostra conversazione o ascoltare un podcast mentre interagisce con noi? E la fedina di Meta in tema di privacy non ci fa certo dormire sonni tranquilli.
Guardando al futuro, è evidente come l'intelligenza artificiale applicata all’hardware non sia ancora in grado di mantenere del tutto le promesse fatte.
Tuttavia, è probabile che nel medio termine questa tecnologia maturi effettivamente, diventando più affidabile e veloce. Potremmo non sapere esattamente come evolverà, ma è chiaro che l'integrazione tra AI e dispositivi quotidiani rappresenterà una direzione interessante.
Per ora, le soluzioni che mirano a completare piuttosto che a sostituire i nostri smartphone sembrano essere le più praticabili. Potrebbero gradualmente cambiare le nostre abitudini, portandoci a interagire meno con gli schermi e più con il mondo reale. La vera rivoluzione potrebbe non essere tanto nel bandire lo smartphone, quanto nel renderlo meno centrale e complementarlo con delle nuove tecnologie.
E GPT-4o pare stia andando proprio verso questa direzione.
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