Benvenuti nella Taste Economy
Rick Rubin, intelligenza artificiale ed il nostro gusto per le cose.
Ciao , buon venerdì!
Qualche giorno fa mi è capitato di vedere uno spezzone di un’intervista a Rick Rubin, leggendario produttore musicale americano, che ha collaborato con artisti del calibro di Public Enemy, Red Hot Chili Peppers, Adele, Rolling Stones o Aerosmith (ma anche Jovanotti). La parte che più mi ha incuriosito è stata quella in ha ammesso di non conoscere la teoria musicale, di non saper suonare alcuno strumento e nemmeno un mixer.
Anderson: Suoni qualche strumento?
Rick Rubin: A malapena.
Anderson: Sai usare un mixer?
Rick Rubin: No. Non ho alcuna competenza tecnica. E non so nulla di musica.
Anderson: Dai, qualcosa dovrai pur saperlo.
Rick Rubin: Beh, so cosa mi piace e cosa no. E ho le idee molto chiare su questo.
Anderson: Quindi per cosa ti pagano?
Rick Rubin: La fiducia che ho nel mio gusto e la mia capacità di esprimere ciò che sento si sono rivelate utili per gli artisti con cui ho lavorato.
Uno dei più grandi produttori musicali di sempre, afferma di non sapere nulla di teoria e tecnica musicale, ma di aver basato la sua intera carriera solo ed esclusivamente sul gusto.
Sembra inverosimile, eppure c’è una spiegazione.
In un momento storico dominato da strumenti di intelligenza artificiale capaci di generare un flusso pressoché sconfinato di immagini, testi, musica e video di ogni tipo, il dubbio è lecito: ha ancora senso padroneggiare uno strumento? O una particolare tecnica? Conoscere approfonditamente Photoshop o Illustrator ora non è più una conditio sine qua non per poter creare design complessi; con Midjourney si possono generare senza sforzo immagini simili ad un dipinto del Botticelli o un ritratto di Helmut Newton, e successivamente anche editarle, cambiarne i colori, rimuovere lo sfondo e molto altro ancora. Con Sora o Veo2, non è più fantascienza immaginare e poi produrre brevi reel o film interi con un livello qualitativo degno di Hollywood. Bastano un paio di prompt azzeccati ed il gioco è fatto. Ecco che quindi si rivela nettamente più importante avere un occhio clinico (o un orecchio, come nel caso di Rick) che sappia discernere quali di queste immagini o video possono essere considerati davvero di valore.
Quando le automobili fecero la loro comparsa, i primi fortunati proprietari non si curavano troppo del colore o della linea: dopotutto, l’unica alternativa fino a poco prima era stata una carrozza trainata da un cavallo. Ma dopo che le auto si sono trasformate in una commodity, la qualità e i dettagli sono diventati più importanti che mai. Ciò che fa risaltare un prodotto è l'esperienza complessiva, quindi. Il gusto è ciò che conta.
Quello che sta nascendo è, dunque, una vera e propria Taste Economy (o economia del gusto), in cui il vero valore non sta più nel processo con cui qualcosa viene prodotto, ma come questo si riconosce come degno, vero, bello, innovativo.
D’altronde il confine tra artista e macchina è diventato sempre più sottile, e se un tempo la differenza tra un professionista di alto livello ed un rookie si poteva notare soprattutto nell’abilità esecutiva, ora la tecnologia riduce quello scarto in modo democratico. Basta un clic, e hai dieci versioni diverse di un concept, e quello che conta non è più sapere come un contenuto deve essere prodotto, ma quale di questi merita di essere sviluppato a partire da un’idea. Questo filtro umano non è affatto scontato: è un talento che va affinato con sensibilità, esperienza, coraggio e intuito. Midjourney può rimescolare brillantemente ciò che è già stato creato, ma gli manca qualcosa di essenziale: un vissuto, una visione personale. E questa, per ora, resta una prerogativa esclusivamente umana.
Ha fatto scalpore la decisione di una nota casa d’aste, Christie’s, di annunciare Augmented Reality, il primo incanto di opere create con l’ausilio dell’intelligenza artificiale. Le polemiche non sono mancate, soprattutto a causa del tema copyright (ci torno dopo), eppure sono ancora convinto che usare l’IA non significhi arrendersi all’automazione, ma farne un trampolino di lancio per la propria creatività, posto che rimane comunque la sensibilità umana a dare senso all’output finale.
Il ciclo ideale dovrebbe essere:
Generazione: il software tira fuori centinaia di possibili varianti;
Valutazione: qui entra in campo il gusto umano che sfoltisce, seleziona e riconosce le proposte migliori;
Rielaborazione: l’IA continua a perfezionare in base ai prompt forniti, la sensibilità umana aggiunge la sua visione;
Conferma: il sigillo finale è dell’uomo, perché le macchine non sanno cosa significhi davvero bello o originale. D’altronde se nel vostro prompt utilizzate le espressioni “originale”, “meraviglioso” o “mai visto prima”, queste non comportano alcuna differenza rilevante nell’output finale.
Alla fine di questo processo, l’opera potrà essere un flop oppure straordinaria, ma la responsabilità del risultato finale è e sarà sempre e solo umana - certo, non dell’IA - con questo merito che può assumere forme diverse: estetica, funzionale, etica, simbolica.
Pensa al mondo della moda italiana: molte delle attività di produzione tessile e confezionamento sono state delocalizzate o automatizzate. Quello che resta come elemento di pregio sono invece gli uffici stile, la ricerca di materiali di qualità, l’interpretazione delle ultime tendenze e la creazione di un’identità di marca forte, in grado di trasmettere i valori del Made In Italy in modo inequivocabile. In modo analogo, nel design industriale, l’operazione di disegnare un prodotto - al netto del supporto di strumenti come Autocad o simili - dipende ancora in larga parte da chi sa percepire l’equilibrio delle forme, o il messaggio implicito che l’oggetto deve trasmettere.
Certamente, l’economia del gusto si manifesta in quei settori dove contano creatività e personalizzazione ma non è limitata alle arti: la sintesi di visioni complesse, l’ecosistema in cui la firma di valore è la capacità di percepire ciò che merita di essere lanciato sul mercato, esposto in un museo o reso virale su TikTok può essere applicata anche in altri ambiti. Quindi, non è più un lusso saper creare un prototipo: lo fa il software. Ma è un’arte a sé il saper decidere quale prototipo tra i tanti utilizzare. Ed è questo che fa tutta la differenza del mondo.
Sfortunatamente, esiste un surplus smisurato di contenuti mediocri, spesso creati per scopi superficiali, che ha portato all'adozione sempre più frequente del termine slop (tra l’altro candidata a parola dell'anno nel 2024). Nella sua newsletter, Ted Goia analizza come questi contenuti stiano influenzando la cultura, osservando come l'estetica da essi prodotta stia portando ad una sempre più evidente scarsità di opere realmente significative, capaci di emergere nel marasma digitale. Ecco, dunque, che la capacità di selezionare e curare i contenuti col proprio gusto personale assume un valore inestimabile (così da evitare abomini come questo qui sotto):
Quando parlo di gusto non mi riferisco solo a un criterio soggettivo, ma anche a un insieme di competenze e sensibilità condivise entro un certo contesto, che permettono di riconoscere il valore di un’opera, di un’idea o di un prodotto. Questo fiuto è influenzato dalle nostre esperienze, dal nostro vissuto, dal background culturale, dall’educazione formale e informale, dalle interazioni sociali e dai nostri studi, ma anche dalle predilezioni individuali.
E poi l’intelligenza artificiale non può rompere le barriere. Alcune gallerie d’arte hanno sperimentato delle mostre curate dall’IA ma l’algoritmo ha riproposto scontatissimi pattern del passato. Un curatore umano, al contrario, può fare scelte coraggiose o addirittura incomprensibili a prima vista, ma che possono contribuire a scardinare i canoni e arrivare a quella wowness che l’IA, da sola, non può generare con consapevolezza. Justin Gignac è un artista concettuale americano, e con New York City Garbage ha raccolto la spazzatura della città, meticolosamente selezionata, disposta e conservata in cubi di lucite firmati, numerati e datati. Senza il coraggio umano, l’IA sarebbe potuta arrivare a concepire una cosa del genere, in modo del tutto autonomo? Ho i miei dubbi…
Così come oggi si può chiedere a un LLM di comporre un brano partendo da pochi input di testo, scatenando l’ira e le preoccupazioni degli addetti ai lavori. Ad esempio, un compositore si interroga sul perché così tante persone scelgano questo approccio creativo. Un utente replica sottolineando che già molti musicisti fanno uso di campioni stock reperibili online o di frammenti di brani del passato (i Daft Punk hanno costruito una carriera intera su questo), evidenziando come la differenza tra l'utilizzo di sample e l'impiego dell'intelligenza artificiale sia minima, in quanto l’utilizzo di materiale preesistente è presente in entrambi i casi.
Ci sono ancora tante questioni aperte e che saranno sempre più polarizzanti nella taste economy, e sono sempre le solite:
Omologazione
L’IA funziona perché è stata addestrata su dati storici. Se si riproduce solo ciò che già funziona, si rischia di appiattire la cultura e di finire dentro una bolla estetica dal quale sarà difficile uscire. Ecco che quindi spetta ai curatori del gusto premiare l’azzardo e non omologarsi eccessivamente ai soliti canoni artistici del momento.
Diritto d’autore
Chi detiene i diritti di un’opera generata in larga parte da un algoritmo addestrato su milioni di pezzi esistenti? Questo è un argomento spinoso, forse quello più spinoso.
Digital Divide
Ho citato strumenti come Midjourney, ChatGPT o Sora. che aiutano a democratizzare la creatività, ma in certe zone mancano possibilità economiche, infrastrutture e/o formazione, e questo processo rischia di far aumentare il gap culturale tra i diversi paesi, lasciando che il gusto di alcuni resti inespresso.
Viviamo dunque in un’epoca di surplus creativo e infobesity: l’IA genera opzioni all’infinito, e sta alla sensibilità umana filtrarle. È proprio questo gusto a diventare la moneta pregiata nell’economia contemporanea, quella che sa riconoscere ciò che vale e dargli la giusta forma.
Per restare rilevanti nella Taste Economy, dobbiamo diventare collezionisti del bello: curiosi, capaci di setacciare, catalogare e connettere idee, senza lasciarci appiattire dall’omologazione digitale. Rick Rubin ci ha insegnato che la tecnica si può imparare (o, meglio, delegare), ma lo sguardo e l’intuito restano insostituibili. E proprio per questo, il generalista - o multipotenziale - potrebbe diventare la figura chiave del futuro. Versatile, curioso, capace di intrecciare discipline e prospettive diverse in un mondo dove l’intelligenza artificiale si occuperà sempre più del lavoro sporco.
L’IA sarà un compagno di viaggio formidabile, ma il timone lo dovremo tenere ancora noi.
Carla Lalli ha deciso di chiudere il suo canale YouTube dopo oltre tre anni e 177 episodi di "Carla’s Cooking Show", nonostante i 18 milioni di visualizzazioni e oltre 231.000 iscritti. Il motivo? Costi di produzione insostenibili: ogni video costava circa 3.500 dollari, mentre le entrate da YouTube AdSense ammontavano in media a 4.000 dollari al mese, lasciandole un deficit mensile di circa 10k dollari, coperto solo grazie alle sponsorizzazioni. Youtube si è rivelato quindi un investimento insostenibile, con algoritmi imprevedibili ed un modello di monetizzazione sfavorevole per i creator. Ora Carla si concentrerà sulla newsletter Food Processing, che rappresenta la sua principale fonte di reddito e nella quale ha descritto minuziosamente quali sono i veri costi dello stare su Youtube.
Lo sanno anche i muri: Ferrari domina il mercato delle auto di lusso grazie a un modello di business basato sull’esclusività. E l’azienda di Maranello mantiene la domanda alta producendo sempre meno di quanto il mercato desideri, facendo salire così il valore dei suoi modelli. Il WSJ analizza la strategia che ha reso Ferrari la casa automobilistica più preziosa d’Europa.
La casa di produzione cinematografica indipendente A24 ha rivoluzionato il cinema, grazie a una selezione curata, marketing innovativo e totale libertà creativa per i registi. Nata nel 2012, è riuscita ad ottenere 49 nomination agli Oscar e 16 vittorie. Questa bella guida ci spiega come è stata in grado di combinare storytelling di qualità con campagne virali, costruendo una fanbase affezionata.
Vi ricordate di Lush? Aveva abbandonato gran parte dei social media per protesta contro la moderazione dei contenuti, gli algoritmi invasivi e la raccolta dati. Dal 2021 ha ridotto la dipendenza da Google, Apple e Microsoft, puntando su canali proprietari come newsletter (6 milioni di iscritti) e app (1,75 milioni di utenti). Come stanno andando le cose, quattro anni dopo?
A tal proposito: i lavoratori creativi nel 2025 stanno riprendendo il controllo del proprio brand, abbandonando i social media in favore di piattaforme di proprietà che promuovono indipendenza e autenticità (ossia blog, newsletter, siti personali, ecc.).
Il panorama dei media è sempre più frammentato: dai tradizionali media legacy (New York Times, CNN) ai nuovi media profit-oriented (Semafor), fino ai giornalisti indipendenti e solopreneur che creano contenuti diretti al pubblico (newsletter, podcast, YouTube).
Cose incredibili ma vere: i giovani spingono per una rinascita del telefono fisso.
Due report da non perdere: quello di WeAreSocial, sugli scenari digital di quest’anno e quello di Tripadvisor, che ha pubblicato l’interessante Travel Trends 2025, uno spaccato sui nuovi modi di viaggiare.
Flora è una piattaforma creativa che integra i migliori modelli IA per testo, immagini e video in un’unica interfaccia. Con workflow automatizzati per social media, video, design e 3D, Flora permette ai team di lavorare in sinergia, ottimizzando produttività e sperimentazione.
Relay è un tool di automazione che consente di creare agenti di IA per ottimizzare i flussi di lavoro, integrndosi con oltre 100 app senza necessità di competenze tecniche. È un’alternativa più semplice rispetto a competitor come Zapier e Make.
Opera Air è una versione minimalista del browser, che incorpora esercizi di meditazione e respirazione, suoni binaurali, blocco degli annunci, una VPN gratuita e altre chicche per scrollarsi di dosso lo stress.
Uso Meco già da un po’ e finalmente posso godermi le mie newsletter preferite fuori dalla casella email in tutta calma, leggendole in modo più ordinato. E l’app è fatta benissimo.