Buon venerdì!
Una sera stanca di fine estate, un locale moderatamente trendy di Milano e un gruppetto di ventenni che sorseggia cocktail appariscenti e molto elaborati. Ad uno sguardo più attento, però, mi rendo conto che quasi tutti quei drink sono rigorosamente analcolici (non è vero, l’ho chiesto al barista).
All'inizio ho pensato si trattasse di uno dei soliti trend della Milano bene, ma poi ho iniziato a notare un pattern ricorrente: tifosi più sobri durante gli Europei di calcio, un calo generalizzato di consumo di birra nei pub da parte dei dopolavoristi inglesi, e diversi articoli che decantavano (no pun intended) la crescente popolarità di birre, vini e liquori dealcolati. Insomma, a quanto pare, ci stiamo trovando nel bel mezzo di una rivoluzione copernicana del bere. O del non bere, per l'appunto.
Benvenuti nel mondo del no-lo (no e low alcohol), un fenomeno in rapida ascesa che sta ridefinendo l'industria dei drink e, in un certo senso, anche il modo di socializzare. A guidare questa tendenza di consumo consapevole è, infatti, proprio la Generazione Z. Sto parlando di un fenomeno che sta rimodellando le abitudini di consumo a livello globale, e l'Italia non fa eccezione (anche se col freno a mano tirato).
I dati parlano chiaro: secondo un recente rapporto di IWSR Drinks Market Analysis, il mercato globale delle bevande analcoliche e a basso contenuto alcolico ha raggiunto un valore di 11 miliardi di dollari nel 2022, con una crescita del 37,5% rispetto al 2018. E le proiezioni future sono ancora più impressionanti, con un CAGR del 7% previsto fino al 2026.
Cosa sta alimentando questo crescente amore per la sobrietà? Come dicevo, c’entra la Generazione Z; un sondaggio di Prodege Decipher del 2023 rivela che circa il 23% dei nati dopo il 2000 consuma spesso bevande analcoliche. Le motivazioni endogene sono le più disparate: il 50% è spinto dalla curiosità verso nuovi sapori, il 31% cerca uno stile di vita più salutare, mentre il 35% non può assumere alcol per ragioni specifiche (penso alla religione, ad esempio).
E poi ci sono le influenze esterne: la rappresentazione romantica dei Martini sulla scrivania di Don Draper viene spazzata via da serie tv come Euphoria o Shameless che denunciano invece la glorificazione di cocktail e birra. Si può in un certo senso affermare che sta mutando il concetto stesso di divertimento: una bella serata con gli amici non si traduce più necessariamente in eccessi alcolici, ma piuttosto in esperienze memorabili ed un pieno controllo di sé. E, anzi, spesso l’abuso è sinonimo di hangxiety (l’ansia che scaturisce dopo una sbornia).
Anche in Italia, dove lo spritz è un gruppo alimentare a sé, il cambiamento si fa sentire, seppur con dati contrastanti. I numeri dell'Osservatorio Nazionale Alcol dell'ISS mostrano che il consumo giornaliero di alcol tra i 18 e i 24 anni è diminuito del 15% negli ultimi cinque anni, sebbene sia aumentato quello occasionale. I giovani non vogliono rinunciare al rituale sociale dell'apericena, ma cercano allo stesso tempo alternative che ben si adattino a uno stile di vita più salutare. Milano, Roma e altre grandi città iniziano ad assistere alla nascita di sempre più locali che affiancano alla loro offerta di drink tradizionali una vasta gamma di alternative analcoliche (qui un paio di indirizzi). Emblematico è l’esempio di Atipico, aperto quest’anno vicino a Torino, ed uno dei pionieri di questo movimento. Il suo menu prevede solo opzioni senza alcol.
Peroni ha introdotto la pluripremiata Nastro Azzurro 0.0, mentre è sempre più frequente imbattersi sugli scaffali della GDO in Corona, Heineken o Moretti nelle loro versioni politically correct. Non solo birra: anche i liquori analcolici sono qualcosa di potenzialmente disruptive. A partire da packaging e (re)branding. Le bevande di nuova generazione si presentano con un'immagine sofisticata e adulta, anni luce distante da quelle delle bibite gassate alle quali siamo abituati.
Lyre's e Seedlip sono i nomi più alla moda, ossia quelli cercano di rivisitare il concetto di spirit, e che propongono alternative complesse e aromatiche nate per sfidare i distillati tradizionali. Bottiglie dal design elegante e nomi evocativi contribuiscono a posizionare questi prodotti come opzioni premium e più desiderabili di una semplice acqua aromatizzata. E quando a lanciarle sono celebrity come Bella Hadid e Katy Perry, la portata del fenomeno diventa globale.
Marchi di nicchia come Sabatini Gin, Feral, Bevande Futuriste o Memento sono la testimonianza di un fenomeno più vivo che mai - anche nel Belpaese - con prospettive chiare per i prossimi anni. E anche i vini dealcolati rappresenteranno il futuro (che le istituzioni vogliano o meno). Perché come afferma Massimo Lovisolo di Società Vinicola Piemontese:
Il vino è in crisi. E il 50% degli abitanti del pianeta non beve alcolici. Mi pare logico fare innovazione e diversificare.
L'ascesa del no-lo si configura come una sfida complessa, ma anche un'opportunità per l'industria del beverage e, inevitabilmente, per chi deve raccontarne l'evoluzione, i marketer. Non tutti i consumatori cercano la stessa cosa: ci sono quelli che amano terminare la serata con un pizzico di allegria, chi vuole prendersi una sberla totale, ma anche chi desidera preservare il proprio fegato ed assumere esclusivamente bevande analcoliche, o quantomeno alternative a basso contenuto di alcol. L'utilizzo di social e campagne digitali diventa allora un elemento imprescindibile, non solo per promuovere i prodotti, ma anche per creare una vera e propria community intorno ai movimenti #nolo o #sobercurious. A differenza delle campagne del passato, oggi l'attenzione si concentra maggiormente sugli effetti negativi dell’alcol su benessere generale e salute a lungo termine.
Da alcuni anni le grandi aziende produttrici di birra hanno iniziato a muoversi in questa direzione. Vedasi l'approccio Drink Responsibly adottato da Heineken, che da tempo pone l'accento sull'importanza di non mettersi alla guida dopo aver bevuto. Questo tipo di comunicazione non solo promuove un consumo più responsabile, ma si allinea perfettamente ai principi del movimento no-lo, facilitando una transizione quasi naturale verso questo nuovo paradigma.
Insomma, sembra che il futuro del bere sia…non bere. O meglio, bere cose che sembrano alcoliche ma non lo sono. È un divertirsi con meno postumi e più consapevolezza. Resta da vedere se questa tendenza prenderà piede anche nelle sagre di paese. O forse ci vorrà ancora un po'.
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