Aloha!
Uno magari vorrebbe pure snobbare l’IA e fare il radical chic disinteressato, ma non è semplice di questi tempi. È complesso trascurare un fenomeno che, in un modo o nell’altro, andrà ad impattare sotto ogni punto di vista i temi che tratto solitamente su questa newsletter.
Quindi pure oggi si parla di robot ed algoritmi, ma ci infilerò dentro anche qualche sprazzo di cinema.
Buona lettura,
Antonio
L'altro giorno ho visto un film, Genius. Ne ho visti di migliori, ma è carino, te lo consiglio.
Del 2016, è diretto da Michael Grandage e vede Colin Firth nei panni dello scrittore e curatore letterario Maxwell Perkins, e Jude Law come l'autore Thomas Wolfe (e c’è anche Nicole Kidman). Basato sul libro Max Perkins: Editor of Genius di A. Scott Berg, il film narra la relazione professionale e personale tra Perkins e Wolfe.
Ciò che rende il film interessante è la sua capacità di esplorare il lungo processo creativo, i conflitti interiori di Wolfe, la collaborazione tra autore ed editor e il lavoro intenso che c’è dietro la creazione di un capolavoro letterario. Genius illustra infatti come l'arte umana non sia solo un'impresa solitaria di creatività, ma spesso il frutto di un rapporto di supporto e di sfida tra individui appassionati.
Nel film, l'opera di Wolfe viene spesso presentata come verbosa e caotica, simile alle bozze di un testo generato dall'intelligenza artificiale, mentre Perkins, in un certo senso, agisce come un prompt designer che ottimizza gli algoritmi e il training set di un'IA. La relazione tra i due ci ricorda che la creatività spesso non è un dono isolato, ma frutto di un più complesso processo collaborativo.
Wolfe viene anche accusato di essere eccessivamente influenzato dagli autori che ammira, come James Joyce, ed in modo simile, le intelligenze artificiali generative vengono addestrate su enormi dataset di testi, immagini o suoni e creano contenuti basandosi su ciò che hanno appreso durante il training.
Forse è il film che calza in modo particolarmente appropriato, o forse sono io che ho trovato analogie sin troppo azzardate, ma le somiglianze finiscono qui.
Innanzitutto, l'empatia è una caratteristica distintiva dell'essere umano che difficilmente può essere replicata dalle intelligenze artificiali. Perkins dimostra una profonda comprensione delle emozioni, paure e ambizioni di Wolfe. Questa sensibilità umana gli permette di entrare in sintonia con l'autore e suggerirgli modifiche che migliorino il suo lavoro senza alterarne l'essenza. Un'IA, per quanto avanzata, potrebbe non essere in grado di comprendere e interpretare le emozioni in modo altrettanto profondo e sensibile (anzi potrebbe travisarle).
Inoltre, l'intuizione umana ha un ruolo cruciale nel processo creativo. Perkins riesce a percepire il vero potenziale di Wolfe e lo guida sapientemente verso il successo letterario. Le intelligenze artificiali, invece, si basano su algoritmi e dati prestabiliti, e non possono sviluppare quell'intuizione che spesso porta alla creazione di capolavori. Tra l’altro, per citare Anna Maria Testa, “ChatGPT e i suoi fratelli ragionano solo in termini di probabilità, e sono costituzionalmente incapaci di bilanciare creatività e (necessarie) costrizioni.”
Sono convinto che l'IA fungerà da assistente per molte attività creative, ma c'è un aspetto che mi lascia particolarmente perplesso.
Abbiamo visto titoli accattivanti, articoli e testimonianze di giornalisti, scrittori e appassionati di tecnologia che affermano di aver creato articoli e libri con l'intelligenza artificiale, eppure non sembra esserci ancora un interesse così evidente, da parte degli altri, nel leggerli.
Anzi, c'è il rischio che gran parte di ciò che è stato creato non sia mai stato letto nemmeno dall'autore stesso. Personalmente - magari sarò l'unico - non troverei allettante leggere un libro scritto integralmente da un robot.
L'IA potrà sicuramente aiutare nel brainstorming, nella stesura, nel proofreading (come nel mio caso), nella creazione di personaggi o paesaggi immaginari e in molti altri contesti, tuttavia, arte e creatività dovrebbero rimanere umane.
Artur Piszek spiega meglio di me questo concetto:
Quanto conta essere sicuri che ciò che si legge sia stato generato da un essere umano prima di decidere di provare un'emozione, anche se il risultato è identico?
Ci sarà sempre un valore aggiunto nell'autenticità della produzione umana. Potrebbe diventare importante. Vogliamo davvero piangere guardando un film prodotto al 100% artificialmente? Non credo.
Gli effetti a lungo termine delle nuove tecnologie sono sempre difficili da prevedere e noi (come tecnologi) non abbiamo il diritto di imporre un'adozione universale.
I consumatori e il pubblico dovrebbero essere informati e avere la possibilità di scegliere se interagire con contenuti generati dall'IA. Ancora più importante, devono avere la possibilità di scegliere di interagire esclusivamente con idee prodotte artigianalmente e umanamente.
L'intelligenza artificiale diventerà un business enorme e avrà un impatto significativo su tanti settori. Ma saranno tanti anche quegli utenti che cercheranno empatia, genialità, sensibilità e creatività prettamente umana. Ed è probabile che quest'ultima diventi sempre più un lusso: qualcosa per cui saremmo disposti a pagare di più.
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