Il mio Instagram è un deserto (e forse anche il tuo)
aka perché Instagram è diventato un guscio vuoto.
Dopo il primo lockdown, avevo preso una decisione - in cuor mio - definitiva: cancellare per sempre l’account su Instagram. A quel punto non postavo praticamente più nulla, e sentivo che la chiusura del profilo sarebbe stata più una liberazione che una perdita (per me, ma anche per altri).
Fast forward a qualche settimana fa. Mia moglie, insistente come solo lei sa essere, mi ha costretto a riattivarne uno, non tanto per i like - la corsa del criceto, per me, è finita da un pezzo - ma per garantirmi l’accesso a tutti quei link, a suo dire imperdibili, che intende inviarmi in DM (per lo più recensioni di prodotti per neonati et similia).
Ho quindi deciso di prendere la palla al balzo e tenere un occhio vigile su quello che accade in una ben precisa parte del web. Instagram, nonostante tutto, rimane ancora una piattaforma rilevante, e un barometro utile per capire da che parte sta andando il mondo digital.
Quindi siamo tornati al punto di prima, dove continuo a non pubblicare nulla ma almeno ora, a differenza di prima, non sono più uno dei pochi a ragionare in questi termini.
Questo cambiamento sottile è rappresentativo dei nostri tempi: pochi - o alcun - post di amici o conoscenti, contenuti e reels che l’algoritmo cerca di propinarci in base ai nostri interessi (scimmiottando TikTok, ma con risultati peggiori) e poi tante storie e DM (più l’immancabile pubblicità).
Di questo passo, ci ritroveremo di fronte ad un guscio vuoto e un feed completamente privo di sostanza. Questo affascinante modus vivendi è evidente anche e soprattutto nella Generazione Z, che sta progressivamente trasformando l’uso che se ne fa del social, ormai considerato alla stregua di Whatsapp: una piattaforma per messaggistica rapida e personale, piuttosto che un palcoscenico per l’esibizionismo digitale al quale noi millennial eravamo così affezionati.
Siccome non ho avuto tempo di prestare la dovuta attenzione all’ultimo Superbowl, beccatevi questo riassuntone delle migliori pubblicità di Mizio Ratti, perché merita.
The Authors Guild, una delle più importanti associazioni di editori statunitensi, ha annunciato il lancio di una certificazione Human Authored per distinguere i libri scritti da esseri umani da quelli prodotti con l’intelligenza artificiale. Lo vedremo applicato anche ad arte, musica e videomaking?
IA come assistente allo shopping, la fine del one-size-fits-all in favore dell’iper-personalizzazione, la forza delle micro-community, il ritorno dei tastemaker e altre narrazioni chiave che plasmeranno il branding nel 2025.
Che sia arrivata la fine di vestiti e jeans a cinque euro?
Come i televenditori, gli influencer sono stati in grado di proporre contenuti capaci di catalizzare l’interesse di una nicchia di pubblico diventando la fonte di informazione preferita, nonché di ispirazione, per molti consumatori. Il fil rouge di Ilaria Padovan su Il Tascabile, che lega Roberto da Crema alla Ferragni.
Cosa c’è dietro le app di dating (statistiche alla mano)?
Una tavola periodica scaricabile dei bias cognitivi.
Un tutorial piuttosto esaustivo su come trasformare lunghi contenuti di testo in multimediali sfruttando l'intelligenza artificiale generativa.
Per chi si sente antiamericano c’è un nutrito archivio di alternative europee alle maggiori piattaforme digitali a stelle e strisce (tipo Google Drive, Analytics oppure Slack, ecc).
20 cose che non sapevi di poter fare con Google Maps (la numero 6 è top).
Negli ultimi tempi mi sto divertendo moltissimo con Replicate, che ospita diversi modelli LLM ciascuno con differenti potenzialità, dalla generazione di immagini a quella di video o musica, e con prezzi tutto sommato accessibili (non tariffe fisse ma a consumo).
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Uso Meco già da un po’ e finalmente posso godermi le mie newsletter preferite fuori dalla casella email in tutta calma, leggendole in modo più ordinato. E l’app è fatta benissimo.